Immaginando ciò che la realtà - a volte - non è.

Molte delle preoccupazioni, tensioni e timori che provo nella vita di tutti i giorni, non sono altro che l’effetto di una mia rappresentazione mentale interna della realtà, ciò che immagino possa succedere.

Un’immagine, non sempre consapevole, in conflitto con quello che consciamente vorrei che invece avvenga: voglio ad esempio risolvere un problema nel migliore dei modi, o riuscire nei miei intenti, ma m’immagino – e temo – di non farcela.

E se poi il problema non si risolve come volevo, o non riesco nei miei intenti, mi dico che lo sapevo, che non ce l’avrei fatta. Almeno mi do ragione.

E la mia immagine mentale diventa la mia realtà.

Un’immagine mentale: quello che il mio cervello “pre-vede” – avendo bisogno di certezze, non di probabilità – possa accadere poi, domani, nel futuro.

Un’immagine basata su ciò che la memoria mi suggerisce essere già successo, rievocando un’emozione già provata in situazioni passate che ritiene simili a quella attuale.

O anche un’immagine basata su ciò che ho già visto, letto, sentito dire, percepito da altre fonti d’informazione.

La mia mente produce un film che poi, domani, nel futuro, mi convinco, vedendolo e rivedendolo proiettato nella mia mente, potrebbe (ri)succedere.

Io e il mio corpo reagiamo a quel film mentale, istantaneamente.

Affinché una reazione di paura sia fondata su dati oggettivi di realtà – e quindi utile a salvarmi la pelle – sarebbe necessario che l’immaginazione coincida con ciò che sta realmente accadendo, proprio qui e proprio adesso, nelle mie immediate circostanze – non ieri o domani.

Se la mia casa sta andando a fuoco, una bella scarica di ormoni dello stress è utile: mi metto in salvo, “senza pensarci”.

Se m’immagino – tutto contratto in preda all’ansia – che l’aereo su cui sto volando possa precipitare e schiantarsi a terra perché sta attraversando una zona di turbolenze, la mia immagine potrebbe non essere una rappresentazione che coincide con la realtà – un aereo non cade a causa delle turbolenze, mi spiega calmo il comandante.

Se m’immagino agitato che la mia presentazione della relazione alla conferenza di domani sarà un fiasco clamoroso, quella rappresentazione mentale potrebbe non coincidere con la realtà – non ho una palla di cristallo che mi mostra le mie prestazioni future, né tantomeno le reazioni dei presenti in sala.

Si sa, non è affatto facile: alcuni di noi hanno imparato a dirsi “è più forte di me”, quando la paura di quello che potrebbe succedere prende il sopravvento sulla ragione.

Imparare ad allineare, a far coincidere, la mia immaginazione con la realtà, mi metterebbe in una posizione di totale, radicale, assunzione di responsabilità.

La responsabilità adulta di riflettere consciamente su ciò che la mia mente sta immaginando – se sia reale, vero, o una fantasia.

La responsabilità di esercitare le facoltà critiche del mio cervello pensante – quello che valuta, decide il da farsi e s’impegna a fare quanto ha deciso.

La responsabilità di fare del mio meglio per far coincidere la mia immaginazione soggettiva con la realtà oggettiva.

Altrimenti quelle immagini mentali potrebbero provocare reazioni che guidano i miei comportamenti: agisco, o mi congelo atterrito, credendo che quelle immagini siano la realtà, anche se non lo sono affatto.

Le turbolenze sono un fenomeno naturale, magari scomodo, ma sicuro, mi assicura il comandante – e lui ne sa più di me.

Posso decidere di prepararmi al meglio per la mia importante presentazione alla conferenza di domani – la migliore, e l’unica, garanzia di successo che ho a mia disposizione oggi.

Crescendo, mi sono abituato ad usare la forza della mia immaginazione in maniera del tutto irresponsabile.

Sono diventato come un regista che è inconsapevole di esserlo: mi preoccupo, mi metto paura, mi agito, a volte mi faccio prendere dal panico, girando nella mia mente scene di un futuro sempre peggio, amplificate e ripetute, ancora e ancora e ancora, finché si fondono insieme mettendomi in uno stato di confusione e di stress, talvolta al limite della sopportazione mentale e fisica.

Sono stato abituato a non assumermi alcuna responsabilità sull’utilizzo cosciente dell’immaginazione: mi sento impotente, alla mercé di reazioni provocate dalle mie stesse rappresentazioni mentali, credendo erroneamente di non avere alcuna padronanza su ciò che immagino, nessun potere di imparare a far coincidere ciò che mi sto immaginando con ciò che sta realmente accadendo.

Potrei addirittura pretendere, come fa a volte un bimbo, che il mondo là fuori debba adattarsi alle mie immagini mentali di come, secondo me, “dovrebbe” essere la realtà.

Potrei credere che così mi sentirei più sicuro, protetto, a mio agio, se la realtà si adattasse alla mia immaginazione – una fantasia fanciullesca, rischiosa per un adulto.

Quando da bambino ignaro, iniziai ad utilizzare la capacità di immaginare, fantasticavo per sfuggire da una realtà che allora mi terrorizzava, una realtà che non ero ancora in grado di valutare realisticamente, decidere autonomamente il da farsi e impegnarmi ad agire di conseguenza. Allora mi rifugiavo nel mio mondo fantastico.

Non avevo ancora sviluppato la capacità di agire nel mondo. Reagivo a quello che la mia mente bambina percepiva accadere attorno a sé. Non sapevo come regolare le mie emozioni, sensazioni nuove, sconosciute, che sentivo più forti di me. Non sapevo che affiorano e poi passano. Mi sentivo esposto, sopraffatto, di non avere alcun controllo.

L’unico luogo in cui sentivo di avere autonomia e controllo era il mio mondo fantastico, in cui diventavo un supereroe dei fumetti – Superman, ovviamente …

Non è stato facile, e non lo è tutt’oggi, mettere in pratica ogni giorno l’idea di assumermi tutta la responsabilità di ciò che la mia mente immagina.

E assumermi volontariamente la responsabilità del grande potere della mia immaginazione, potrebbe fare la differenza che fa la differenza tra il vivere le mie giornate sfiduciato o fiducioso, disperato o speranzoso, a disagio o a mio agio, proprio qui e proprio adesso, connesso a questa realtà, sì complessa, ma raramente del tutto bianca, raramente del tutto nera – hai presente l’immagine del simbolo dello Ying e dello Yang?

Anche se da piccoli fantasticare aiutava alcuni di noi ad affrancarci da una realtà in cui sentivamo di avere poco o nessun controllo, se ancora oggi confondiamo l’immaginazione con ciò che è reale, questo potrebbe seriamente compromettere l’utilizzo dell’autonomia e dell’abilità che, in quanto adulti, abbiamo di rispondere a quello che succede.

L’immaginazione è una risorsa potente dell’emisfero destro del nostro cervello prezioso, un’intelligenza intuitiva che può essere educata e indirizzata. Come si educa alla felicità un bimbo, una bimba, preziosi.

Se non le diamo una direzione chiara e definita, ogni volta che entra in conflitto con la volontà della ragione, l’immaginazione potrebbe prendere il sopravvento, e noi potremmo correre il rischio di vivere o illusi e poi delusi, impreparati al confronto con la realtà, o spaventati e immobilizzati dalla paura provocata da pre-visioni future nefaste.

Imparando a far coincidere l’immaginazione con la realtà, proprio qui, proprio adesso, la mente esprime la sua creatività, illimitata: appaiono soluzioni, visibili, credibili, possibili.
Ti è mai capitato?

Posso ricaricare la mia energia mentale chiedendomi qual è la cosa più importante, quella che più conta per me, nella situazione che sto attualmente vivendo.

Posso intravedere una luce in fondo al tunnel che risveglia una speranza realistica che tutto, anche problemi che immagino insormontabili, possono essere risolti.

Mi torna la voglia (!) di confrontarmi determinato con quello che c’è realmente davanti a me oggi, superando i miei presunti limiti di ciò che credo di poter riuscire a fare, limiti spesso imposti da ciò che mi ero immaginato essere in grado di fare fino a ieri.

Al corso “Il linguaggio suggestivo dell’immaginazione” condivido la mia esperienza su come si può educare ed indirizzare, con rispetto e gentilezza, la forza dell’immaginazione.

Max Delli Guanti