Quando sentiamo frasi stereotipate che mirano ad affermare quello che chiamiamo volgarmente luogo comune, sarebbe interessante soffermarci sempre sull’origine di quell’affermazione per capire la sua provenienza; il giudizio implacabile del luogo comune si porta sempre dietro una credenza limitante che, in quanto tale, ha come obiettivo una visione sempre superficiale di cio’ che affermiamo, mancando di prendere in considerazione che cio’ che abbiamo appena detto o pensato potrebbe anche essere, nel tempo, cambiato, o addirittura possa essere, in quanto luogo comune, una esagerazione o, peggio, una grossa fandonia.
Il luogo comune ha purtroppo il vantaggio di far evitare alla mente di osservare l’altro, ascoltare, riflettere, ragionare con il proprio cervello. E’ un po’ come una comoda poltrona sfondata che non butteremo mai via perche’ la conosciamo da sempre; e’ un blocco all’evoluzione della mente riguardo ad argomenti spesso importanti ma che facciamo fatica a rivedere nel nostro giudizio interno,è un sentirci appartenenti a quella parte di umanita’ che ha basato molto della propria vita su tutta una serie di certezze incrollabili fatte di credenze limitanti, paure su certe religioni, su certa politica, su diversi status sociali, su persone e scelte sessuali, su etnie diverse dalle nostre.
Per questo motivo sarebbe assai importante soffermarci sulla naturale estemporaneita’ del luogo comune e chiederci: ma e’ la verita’ o e’ una verita’ falsata da pregiudizi e paure?
Da dove arriva questa mia convinzione? Chi me lo ha insegnato? E’ giusto mettere un gruppo di persone, o quella persona, nello stesso calderone? E’ giusto non dare la possibilità che ci possa essere stato un cambiamento? Una evoluzione? O semplicemente un mastodontico errore di valutazione basato sulla pigrizia mentale e superficialità?
Ho notato spesso, nel mio lavoro di counsellor, come alcuni dei miei clienti abbiano basato il loro rapporto di coppia o di relazioni interpersonali su un determinato tipo di luoghi comuni, cadendo percio’ in errori di valutazione, errori che all’interno della loro vita privata o lavorativa ha creato non poche problematiche.
Nella mia esperienza familiare, per esempio, ho avuto modo di toccare con mano l’effetto limitante del luogo comune al punto da aver dovuto, per anni, soprassedere mio malgrado su tutta una serie di giudizi relativi ad alcune caratteristiche che avevo da bambina e che , una volta adulta, alcuni miei familiari davano per scontato che continuassi ad avere.
Quando questo accade ( e accade spessissimo) nell’ambito familiare, si arriva al paradosso che la persona che viene “catalogata” da un luogo comune, per quanto si dia da fare, per quanto in realta’ possa essere cambiata, rimarra’ sempre, all’osservatore distratto e superficiale, una persona cristallizzata in quella categoria, senza possibilita’ di remissione, bloccata in una parte della sua vita passata, generando magari anche sensi di colpa assolutamente ingiustificati; si sentira’ profondamente a disagio tanto da non riuscire a comunicare con l’altro alcunche’ di se’, i suoi pensieri, le sue paure, le sue emozioni.
Questo potra’ essere, a molti livelli, la fine di un rapporto fraterno, o matrimoniale, o genitoriale, creando sofferenza e solitudine.
Tutto questo grazie ad una credenza limitante tramandata spesso da altri fuori da noi, o da incuria da parte nostra nell’osservazione dell’altro.
Quindi, quanto leviamo alla possibilita’ di essere diversi, alla possibilita’ di cambiare, alla possibilita’ che questa credenza non rimanga per sempre un giudizio assoluto?
Quanto abbiamo paura di quella caratteristica che abbiamo imparato a credere assolutamente vera e incrollabile? Quanto siamo disposti a credere nel cambiamento degli altri, e quindi anche di noi stessi? Quanto siamo curiosi di conoscere meglio l’altro e condividere con lui/lei i nostri dubbi e le nostre paure?
Viviamo in un mondo dominato dalla paura dell’altro, dalla paura del diverso, e il luogo comune e’ una prova lampante di come l’essere umano metta una barriera fra se’ e chi reputa diverso, evitando di vedere nell’altro un diverso modo di vivere e pensare, chiudendosi in una rigidita’ di pensiero che altro non e’ che paura di porsi di fronte a situazioni, persone, modi di vivere non uguali ai nostri, ma non per questo stigmatizzabili.
Ecco perche’ sarebbe meglio evitare di “sedersi” comodamente sui luoghi comuni e iniziare a vedere, dietro una semplice frase, la possibilità di lavorare invece su ciò che ci e’ stato insegnato a pensare erroneamente. Con i miei clienti ho visto tangibilmente dei risultati di apertura verso l’altro e verso il mondo esterno, e soprattutto un’apertura verso la loro parte più profonda che non avevano mai preso in considerazione.
Antonella Ferretti